mercoledì 28 ottobre 2015

Il Trittico Cristologico di Papa Benedetto XVI

Il Volume VI dell'Opera Omnia del Papa Emerito Benedetto XVI è interamente dedicata alla figura di Gesù a metà tra la Storia, i racconti del Vangelo e l'esegesi teologica. E' un'edizione unica che riunisce 3 libri differenti con alcune correzioni: l'Infanzia (che in realtà è l'ultimo in ordine di edizione), la Vita dal Battesimo alla Trasfigurazione, la Passione-Morte-Resurrezione.

Sebbene sembri una lettura impegnativa di 800 pagine totali, è un giusto compromesso per chi, già conoscitore del Vangelo, voglia approcciarsi in modo soft alla Teologia, ma contemporaneamente desidera aggiornarsi sulle congruenze storiche dell'esistenza di Gesù. Il Papa Emerito dichiara di scrivere da fedele e non ex cathedra, ma alla fine riesce a fornire una sintesi equilibrata tra Fede, Teologia, Storia e un po' di Filosofia, mai noiosa. Soprattutto i concetti provengono da una fonte rigorosa e sono adatti ad una lettura profana: magari rimarranno delusi i teologi o gli storici alla ricerca di approfondimento, ma volutamente questa non è un'opera tecnica.

L'approccio storico e logico è evidente già nella Premessa del 2° libro. Il Papa Emerito dà per buona l'esegesi moderna e tutte le interpretazioni del significato dei Vangeli del Concilio, ma velatamente critica alcune ricostruzioni un po' forzose rispetto alla figura storica di Gesù, che per contrasto invece appare logica e comprensibile. Persino quando cita l'intepretazione teologica fatta dai Padri della Chiesa di alcune parabole, Papa Ratzinger la riporta sui binari della logicità, sottolineandone il carattere che trascende il piano del reale. Nella Premessa del 3° libro finalmente dichiara apertamente l'intento: una riflessione sulle parole e le azioni essenziali di Gesù, alla luce dell'ermeneutica della fede, ma anche della ragione storica che necesariamente vi è contenuta. Infatti la ragione storica è un elemento della fede e la storicità di Gesù l'accesce in noi. Questa "Cristologia dal basso" è una sorpresa inaspettata per chi si accinge per la prima volta a leggere un Papa-teologo.

Benedetto parte dalla Lettera ai Filippesi di S.Paolo, scritta circa 20 anni dopo la crocifissione di Gesù, che rappresenta una cristologia nitida: «Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.» (Fil. 2,6). Ma cosa successe in quei vent'anni, tanto da spingere piccole e anonime formazioni comunitarie ad elaborare in modo così creativo e convincente una visione chiara di Cristo, della Sua natura divina e della Sua missione? Sarebbe più logico che la grandezza di Gesù si fosse manifestata durante la vita, mentre compiva i miracoli, e non 20 anni dopo la morte, imponendosi ancora 2000 anni più tardi. L'autore riflette sull' "Evento Gesù", un uomo il cui orizzonte culturale e le cui condizioni di vita non avrebbero potuto esprimere molto. Falegname in un villaggio periferico di un regno ancor più periferico rispetto all'impero romano, non avrebbe potuto che moralizzare il popolo, o al massimo enfatizzare l'apocalismo attenuato che circolava negli ambienti dell'epoca (Julicher). Si coglie anche una vena di humor quando, criticando la categorizzazione delle parabole (similitudini, allegorie, etc.), Papa Ratzinger cita Charles W.F. Smith: nessuno avrebbe messo in croce un maestro che raccontava storie piacevoli per rafforzare l'intelligenza morale! Ma un fenomeno profetico tutto sommato abbastanza tipico nella storia davidica (l'ultimo fu Giovanni Battista) non giustifica l'accanimento, la consegna ai Romani, la nascita e poi anche la sopravvivenza delle prime comunità cristiane in modo così pertinace da ingigantirsi nei secoli a venire. Qualcosa di straordinario doveva essere accaduto... qualcosa di talmente straordinario da stravolgere la tradizione del Sabato per mutarla in Domenica, che ha caratterizzato le comunità cristiane fin dalla loro prima formazione.

A me piace partire da Dio e dall'Antica Alleanza con il popolo di Israele. Qualsiasi civiltà ergeva un tempio o un complesso templare, in cui adorare una o più divinità: il Partenone ad Atene, la piana di Giza al Cairo (qui il dio era lo stesso faraone e il tempio era la sua tomba), alcuni colli romani es. il Campidoglio, Chichèn Itzà nello Yucatan messicano, etc. Il divo veniva adorato sul colle o sull'altipiano, che si ergevano verso il cielo. Invece, in quest'epoca di dèi plurali e della divinizzazione di faraoni ed imperatori, Israele era un popolo senza terra e senza Tempio: il suo Dio era escluso dalla concorrenza con gli altri dèi, perchè non aveva neppure un luogo dove essere venerato. Eppure il popolo di Israele non affermava di avere un dio qualsiasi, cioè un proprio dio padre di altri dèi ed affezionato al suo popolo. Invece sosteneva che Egli fosse il Dio dell'Universo, dell'umanità, creatore del cielo, di tutte le terre e di tutti i popoli. Ancora una volta siamo di fronte l'unicità che mal si giustifica con la creatività umana e che descrive un unico Dio, a cui appartiene tutto il creato, che per bontà lo dona all'uomo. Dio regalò ad Adamo la facoltà di dare un nome a tutte le creature: il nome li mette in relazione con l'uomo, li umanizza. E in un'epoca di dèi dall'aspetto e dal carattere umanoide, evidente parto dell'umanamente limitata creatività, Dio fu molto chiaro con Mosè: Egli era Uno solo, non ce n'erano altri nè prima nè dopo, e il suo nome era YHWH ("Io Sono"). Per quanto "Io Sono" fosse un nome-non nome, Dio si è umanizzato con l'invocabilità del Suo nome e ha regalato all'uomo un certo grado di vulnerabilità, ovvero la possibilità di vilipenderlo, cosa che precedentemente non aveva fatto.

Su questo tema ho la pretesa di avanzare anche un'altra lettura: potrebbe trattarsi di un focus che Dio sta dando alla Parola, dapprima parlando ai profeti in prima persona, successivamente donando l'invocazione del Suo nome, infine donando il Verbo fatto uomo. Nell'Antica Alleanza, l'uomo costruisce a Dio un tempio e afferma che questo contiene il Suo nome, a suffragio della comprensione che Dio e' talmente vasto da non poter essere contenuto nel tempio, ma da essere tuttavia presente con una parte fondamentale, rappresentativa, dono prezioso fatto a Mosè: il Suo nome. Nella Nuova Alleanza, il nome viene esteso alla Parola, che contiene i precetti e gli insegnamenti divini, che sempre in forma di Parola devono essere estesi a tutti i popoli, tramandati e rispettati. Nel Nuovo Testamento, Dio si manifesta sotto forma di nube e parla, non si esprime telepaticamente come potrebbe e come vorrebbero i teorici degli Antichi Astronauti, che vedono nelle divinità il segno di alieni venuti a civilizzarci. Invece la parola ha sempre un ruolo fondamentale: per quale motivo dobbiamo pregare, che potrebbe sembrare un'inutile perdita di tempo? Lo spiego in coda a questo post e a metà di quest'altro post. Ma anche più avanti.

La Bontà Divina si concretizza successivamente al dono del Suo nome con l'umanizzazione per eccellenza, cioè Dio fatto uomo, e tutti i segni di Gesù saranno la prova della sovrabbondanza divina quando si tratta di bontà: alla cena di Cana con la trasformazione esagerata di vino, alle moltiplicazioni i cui avanzi possono essere raccolti in ceste. O ancora, sempre durante la cena di Cana, con l'anticipazione generosa dell'ora che ancora non era giunta, grazie all'intercessione mariana. Dio si è fatto uomo per redimere il Suo popolo: Matteo ci racconta che l'Angelo annuncia a Giuseppe che «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». Ma in quale senso? Il popolo di Israele attendeva che Dio lo aiutasse materialmente, come spesso successe durante l'Antica Alleanza: Dio interveniva direttamente per distruggere città, allagare il mondo, separare le acque, nutrire il Suo popolo con la manna dal cielo. E invece con la venuta di Gesù successe qualcosa di diverso, di troppo, ma anche di troppo poco. Il "troppo" era il perdono dei peccati, un'ingerenza che un ragazzo faceva nella sfera divina, poichè solo a Dio è concesso di redimere i peccati. Dall'altra parte era troppo poco, poichè il popolo di Israele era oppresso dalla dominazione romana, dal crudele tiranno Erode il Grande, dalla miseria, e attendeva da Dio la restaurazione del regno di Davide. Per esemplificare questa attesa / disattesa, il Papa Emerito riprende il racconto del paralitico (Mc 2,1-12), che viene calato dal tetto con un lettino poichè la folla circonda completamente Gesù, e chiede di essere guarito: invece Gesù gli rimette i peccati, disilludendo sia il paralitico, sia la folla. Per il paralitico è importante essere guarito, per ogni uomo è più importante soddisfare i propri bisogni materiali e non quelli spirituali; è necessaria la liberazione da miseria ed oppressioni, anzichè la libertà spirituale. Gesù invece ci insegna che è prima necessario guarire dai peccati e tutto il resto arriverà di conseguenza, come sovrabbondanza rispetto al perdono: infatti subito dopo intima al paralitico di prendere la lettiga e andarsene con le proprie gambe. «Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?"». Ecco cosa infastidiva i contemporanei di Gesù, la Sua ingerenza nella sfera divina.

Al contrario, il fastidio provato dagli uomini contemporanei nei confronti di Dio è contenuto in un'osservazione di K. Barth. Nella storia di Gesù l'operare di Dio interviene nel mondo materiale 2 volte: la Nascita dalla Vergine e la Resurrezione, che ha evitato a Gesù la tomba e la corruzione della carne. Il razionalismo imperante è infastidito dall'ingerenza di Dio nella materia, perchè a Dio è tollerato di operare solamente nello spirito (dei credenti, non degli altri). Si nega a Dio la facoltà di intervenire nel mondo materiale e indirettamente si nega alla Sua Provvidenza di far fronte alle nostre necessità materiali, che invece tendiamo a spiegare col caso, con le circostanze, con la fortuna. Questo accade anche tra chi si professa fedele, che invece viene irretito dal neoateismo contemporaneo: "mi sveglio lavoro guardo la tv vado a letto", una routine che non ha tempo e posto per Dio. Già nel momento in cui Maria e Giuseppe cercarono un albergo a Betlemme, non c'era posto per loro, non c'era posto per Gesù nel mondo, per Colui in vista del quale il mondo è stato creato. Ci rifiutiamo di vedere Dio anche quando ci aiuta nell'ombra e proprio Gesù ci ha insegnato che Dio ci guarda nel segreto. Dio è Amore, ma l'amore non è romantico benessere, richiede impegno reciproco e per questo spesso viene odiato. L'Amore ci costringe a oltrepassare il nostro IO e per amore Gesù ha pagato il prezzo per la nostra redenzione con la crocifissione. E noi come lo ripaghiamo? Col menefreghismo, avvitandoci nel nostro IO, costruendo la rovina eterna con le nostre stesse mani... come quando i nostri genitori ci tendono la mano e noi li cacciamo; come quando tendiamo la mano a qualcuno e inspiegabilmente veniamo respinti. Questo succede quotidianamente anche a Dio, con la differenza che noi non perdoniamo, perchè non abbiamo alcun vero potere sugli altri, mentre Lui ci dà sempre una possibilità di redenzione senza offendersi del passato. Comunque espieremo fino all'ultima cattiva azione, poichè Dio è misericordioso non nel senso di un "perdono incondizionato", di una "grazia a buon mercato" (Dietrich Bonhoeffer), e le azioni rimangono scritte. Allora vale la pena cambiare subito rotta.

Gesù parla per parabole, come esempi semplici e calati sulla realtà di quel tempo. Per quanto semplice ed immediata, la parabola va comunque ascoltata, prevede collaborazione, richiede che ci si incammini con essa. La parabola ha il doppio scopo di dirci come dobbiamo comportarci, ma anche di indicarci il riflesso dell'azione di Dio nella nostra vita di tutti i giorni. Ad esempio la parabola del figliol prodigo è calata sulla realtà che oggi come ieri accomuna l'uomo. L'uomo si allontana dal Padre perchè si ritiene libero di godere appieno la propria vita, senza regole o comandamenti. E così facendo dilapida tutte le proprie sostanze (es. le risorse naturali per il profitto, la propria salute con la droga, e comunque diventerà vecchio), perchè nega la propria natura: la falsa autonomia, ovvero l'alienazione dagli altri nel nome dell'individualismo e del godimento egoista, lo renderà schiavo dei porci, di cui volentieri riceverebbe il mangime. Ecco la vera libertà, la reciprocità, la relazione con l'Altro, col Prossimo. Allora il figliol prodigo capisce che prima era davvero libero e che ora i servi di suo Padre (es. i sacerdoti) sono più liberi di lui. L'uomo aspetterà di essere in punto di morte prima di capirlo? E qui arriva la figura del fratello maggiore, che invidia la libertà che l'altro ha potuto permettersi, perchè non coglie la valenza del cammino di purificazione. Il fratello maggiore non ha avuto modo di fare lo stesso percorso, di cui evidentemente aveva bisogno: obbedisce con amarezza, non partecipa alla festa e quindi non si rivela abbastanza maturo. Il fratello maggiore siamo noi che stiamo a casa a guardare e a giudicare gli altri. Il contesto di questa parabola ci viene fornito da alcuni Salmi (es. 44 e 73), in cui gli autori alzano a Dio il lamento della loro povertà: coloro che vivono nell'obbedienza vengono colpiti dalla sventura, invece i cinici hanno successo e godono della felicità terrestre. «Ecce homo» dirà Ponzio Pilato, mostrando Gesù, pur con dignità, nella sua miseria di persona percossa e umiliata: è il paradigma della disumanità del potere, che schiaccia l'impotente. Ma Dio sta con i percossi. Questo è il contesto anche per la parabola di Lazzaro, il servo povero del ricco epulone: il giusto rischia di smarrirsi nella fede, viene castigato dalla mattina alla sera, guarda i cinici di successo e si chiede dov'è Dio. Poi va nel santuario, la prospettiva si allarga e si risveglia. Invece il ricco, che del cinismo ha fatto l'arma del suo successo, nell'aldilà chiede ad Abramo di mandare qualcuno ad avvisare i propri cari del castigo che spetta ai cinici: quante volte vorremmo anche noi chiedere a Dio di mandarci qualcuno dall'aldilà e di essere più chiaro nei messaggi... «Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi» (Lc 16,27-31). Noi abbiamo i Vangeli, Gesù è resuscitato dai morti, nemmeno le apparizioni mariane passate e presenti ci hanno mosso nella fede. Notiamo anche che in questa parabola Gesù ci racconta cosa succede dopo la morte.

La nostra mente ormai è libera dai legacci di 2000 e più anni fa: non sacrifichiamo più i nostri buoi migliori per ingraziarci le divinità, non soffriamo più la carestia, nè la siccità, nè la morìa delle vacche. Gesù ha sostituito se stesso alla Torah, nel Discorso della Montagna (Mt 5,1-48) si è sostituito alla Torah («gli antichi dicevano... ma io vi dico») e ha sostituito i sacrifici con la preghiera. Pertanto non basta che Lui si sia caricato i peccati di tutti ed è morta lì, dobbiamo pregare per noi stessi, per gli altri, per i nostri morti, far sentire a Dio che ci siamo e che crediamo, sperare in un futuro migliore, essere concilianti col nostro prossimo, insegnare agli altri e dare il buon esempio. L'importanza dell'esempio, come Lui ci ha insegnato, è riassunta in S.Agostino: «Concedi quello che comandi e poi comanda quello che vuoi». Se non sappiamo fare questo, alla fine dei nostri giorni (che potrebbe essere tra poco perchè «Il padrone di casa non sa quando arriveranno i ladri») saremo considerati minimi nel Regno dei Cieli o non saremo accolti in esso. Qui il Papa Emerito specifica che non sappiamo Gesù a cosa si riferisca, se al Paradiso nel Cielo o ad un nuovo Paradiso Terrestre. Le parabole delle vergini sagge, del portiere vigilante, dei 2 servi ci dicono cosa fare: anzichè speculare sul futuro, bisogna concentrarsi sul presente, facendo il proprio dovere oggi e subito; infatti il servo stolto si fa padrone nella falsa impressione che il vero padrone sia assente (è solo in ritardo, tornerà inaspettatamente...), mentre quello buono agisce come se fosse alla sua presenza. Non dobbiamo intorpidirci, come fecero gli apostoli sul Monte degli ulivi, che si addormentarono dopo che Gesù li esortò alla vigilanza: la sonnolenza è passività che ha lasciato entrare il male nel mondo, che tende alla propria zona di comfort, che si convince che tutto in fondo non è grave e passerà.

Quando qualcuno tenta di insegnarci o non sappiamo fare qualcosa, chiediamo a qualcuno di farci vedere come si fa, facciamo training-on-the-job, guardiamo i tutorial su Youtube. Questo perchè l'uomo è per natura insicuro, ha bisogno di una guida, di pratica, e comunque tende a dimenticare le cose. Dio lo sa bene e ci ha mandato se stesso fatto Uomo perchè l'uomo non riesce a capire ciò che avviene sul piano spirituale, ha bisogno di un tutor, ha bisogno di capire con gli esempi, ha bisogno di esercizio per non perdere la pratica e la memoria. Quindi, poichè i sacrifici animali erano oggettivamente inutili, costosi, complessi e fossilizzavano gli uomini sulla ritualità anzichè sulla spiritualità, Gesù ci ha insegnato l'importanza della purificazione tramite la nostra moralità, anzichè con riti come le lavande o la circoncisione. Già Paolo dice agli Ebrei: «è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri» (Eb 10,4) e persino i greci prima di Cristo avevano riflettuto sull'inconsistenza dei sacrifici, in cui non si dà al dio ciò che egli chiede. Nell'Ottocento questo concetto fu estremizzato unilateralmente alla purificazione carnale e materiale, ma precedentemente e successivamente questo concetto è stato riportato alla purificazione mediante l'incarnazione di Dio in Gesù e del Suo Verbo. L'importanza della Parola coincide con l'importanza della preghiera: una pratica a costo zero che ci permette di entrare in dialogo con Dio. Così ogni giorno possiamo chiedere a Dio di darci il nostro pane quotidiano, ma soprattutto alla lunga di rimetterci i debiti e noi in cambio li rimetteremo ai nostri debitori. E pregando ogni giorno non ci dimenticheremo i concetti che ci servono per vivere sereni oggi e guadagnare il Regno dei Cieli domani. Poichè Dio sa che siamo duri di cotenna, si è fatto uomo per farci vedere come essere simili a Dio e compiacerLo, poi ci ha dimostrato di avere l'autorità divina compiendo miracoli, da ultimo ha chiesto ai discepoli di diffondere la Parola e di scriverla, in modo da avere un doppio supporto da trasmettere anche ai posteri.

Dio ha mandato i 12 apostoli ad annunciare la Buona Novella, come i 12 capostipite guidarono le 12 Tribù di Israele disperse per il mondo: gli apostoli diventano i capostipite della Tribù cristiana che loro stessi formano dal niente, armati solo del proprio annuncio. Lo stesso Cristo Re ha governato con un esercito di 12 apostoli, entrando vittorioso a Gerusalemme sulla groppa di un asino (animale umile e mite) per farsi incoronare con le spine e farsi adorare non su questo o quell'altro monte, ma «in spirito e verità» (Gv 4,23). In questo modo tutti i popoli presenti e futuri (non solo gli Ebrei, ma proprio tutti, anche tu che leggi) possono aderire alla Fede nell'Unico Dio Vivente e in tal modo guadagnare il Regno dei Cieli. La Chiesa nacque già sotto la croce, prima che Gesù risorgesse dai morti, nel momento in cui il centurione romano che comandava il plotone d'esecuzione esclamò «Davvero costui era il Figlio di Dio!» al vedere i segni cosmici che quella crocifissione stava provocando. Era la nascita della Chiesa universale, aperta anche ai pagani, ai romani, ai popoli di tutto il creato. L'affermazione di Giovanni Battista «Ecco l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo», prima di allora incomprensibile, assume ora un significato netto: Gesù è l'agnello poichè muore nell'ora esatta in cui si immolano gli agnelli per la Pasqua ebraica. Il plotone d'esecuzione, incaricato di spezzare le gambe ai crocifissi per accelerarne la morte, lo trova già morto e non gli spezza alcun osso esattamente come prescritto per gli agnelli pasquali immolati. Per sincerarsi dell'avvenuta morte, "Longino" gli fora il costato, da cui escono sangue e acqua. E' il momento in cui Gesù carica su di sè i peccati del mondo e li toglie, inaugurando una nuova era priva di sangue animale, ma purificata da coloro che si battezzeranno con l'acqua e che rinnoveranno il Suo sacrificio col Suo sangue e la Sua carne, pregando ai piedi della Croce. Paolo stesso definisce il Gesù Crocifisso col termine greco hylastèrion, che indica il coperchio dell'Arca dell'Alleanza, che veniva asperso di "sangue della riparazione" proveniente dagli animali immolati. L'Arca, il Tempio, la Torah stessa vengono tutti sostituiti dal Crocifisso. Il concetto di hylastèrion risponde all'obiezione tipica di chi considera Dio crudele per la richiesta infinita di espiazione dei peccati: il peccato viene dall'uomo, che all'infinito non riesce a smettere di peccare, e Gesù ci è stato mandato come "mezzo" infinito di riconciliazione con Dio, perdono, misericordia, bontà infiniti.

Come anticipazione del premio, che ci spetterà se con l'imitazione di Gesù vorremo renderci simili a Lui, è anche risorto fisicamente in modo che i suoi contemporanei potessero vedere, toccare con mano e trasmettere a tutti la testimonianza di ciò che avevano visto. Infatti la resurrezione di Lazzaro, del giovane di Nain, della figlia di Giairo, furono tutte biologiche: pertanto costoro poi morirono nuovamente, come accade ai pazienti clinicamente morti che vengono salvati da bravi medici. Al contrario, l'apparizione di un fantasma è la manifestazione di un'entità che appartiene al mondo dei morti. Gesù non è andato su un altro pianeta, ma gli apostoli stessi testimoniano nel Vangelo di Luca la Sua presenza in forma diversa nel mondo: nella conclusione si prostrano davanti a Lui mentre sale al cielo e tornano a Gerusalemme gioiosi (Lc 24,50-53): tale comportamento degli apostoli è inspiegabile se pensiamo alla loro separazione dalla persona amata, mentre è spiegabile se la presenza di Gesù continua in una forma diversa. Lo stesso Gesù, dopo la Resurrezione, dice «Vado e vengo a voi» (Gv 14,28), a testimoniare una presenza nuova, un rivelarsi e sottrarsi tipico di Dio. Il passo di Giovanni viene ripreso anche da S.Bernardo di Chiaravalle, che in una omelia parla di 3 venute del Signore: la prima nella carne e nella debolezza (fino alla morte), la seconda nello Spirito e nella potenza (dalla Resurrezione ad oggi), la terza nella gloria e nella maestà (la Parusia). In tutti i passi che descrivono la teofania, è presente una prima fase di non riconoscimento e una fase successiva di manifestazione palese: la descrizione maldestra degli evangelisti suffraga proprio la novità di questo evento rispetto alla tradizione anticotestamentaria e al piano sensoriale umano. Nessuno fino a quel momento aveva pensato ad un Messia crocifisso, nè tantomeno alla Resurrezione, e lo sbigottimento iniziale lasciò ben presto il posto alla testimonianza fervente della prima Chiesa, in cui gli apostoli potevano raccontare di aver toccato il Figlio di Dio, prima in vita e dopo in reincarnazione, di aver udito la Parola di Dio.

La Resurrezione a cui Gesù si era sempre riferito non era un concetto filosofico, nè spiritico (di un fantasma, di un'entità su un piano differente dal nostro), ma è la Resurrezione della Carne in modo diverso da quella biologica che aveva mostrato in precedenza con i miracoli. Anche Paolo stesso distingue i 2 tipi di visione: quella mistica dei Cieli e quella corporea della presenza di Gesù che si manifesta a lui sulla strada per Damasco, atterrandolo (At 9,3-6). La Resurrezione ha anche un valore simbolico: la terrenità fu generata come punizione a causa del Male tentatore e del peccato originale dell'uomo che cadde nel tranello; siamo obbligati al passaggio terreno in cui il Male governa la carne con le tentazioni e i vizi (Satana vive sulla Terra accanto a noi); se sapremo vincere il Male / la carne e quindi passeremo la prova, risorgeremo anche noi in modo carnale, ma totalmente nuovo, senza dolore fisico, nè tristezza.

La Parola di Gesù è un segno, essere su questa pagina a leggere in questo momento è un segno: è il momento di prendere una decisione. L'opposizione dell'uomo a Dio (evidentemente mal consigliato dal Demonio) pervade tutta la storia e Gesù attira a sè tutta questa opposizione. Cristo è contraddizione: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!» (Mt 10,34). Dio viene visto come un limite alla libertà di essere totalmente se stessi e di fare come ci pare: ma noi facciamo davvero come ci pare senza Dio? O invece siamo sottoposti a 1000 piccole e grandi schiavitù al lavoro, nella società, nel condominio, persino in famiglia, di cui non ci rendiamo più nemmeno conto? Essere ricchi ci toglierà davvero tutte queste piccole schiavitù, come es. compiacere ai nostri cari anche quando non siamo d'accordo con loro? Oppure vincere al lotto introdurrà schiavitù più grandi e insormontabili, perchè riguardano argomenti che non conosciamo, es. finanza e investimenti, paura e videosorveglianza, ma soprattutto sospetto verso il prossimo? Non a caso l'unico apostolo traditore fu messo di fronte alla tentazione più grande per l'uomo: i soldi. Giovanni ci dice che  Giuda Iscariota rubava: «era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 12,6). Ma comunque l'imprinting ricevuto da Gesù era indelebile e si pentì, disse ai committenti «Ho peccato» e tentò di restituire i soldi. Ma fu un pentimento zoppo, senza la speranza del perdono, e così scappò "nella notte", lontano dalla Luce, lontano da Gesù. Nonostante la gravità del suo atto, Dio dà a tutti la possibilità di agire come il figliol prodigo e lo avrebbe perdonato, ma il suo pentimento fu talmente disperato che, mancando appunto in lui ogni speranza di perdono, si impiccò. Al contrario il ladrone, crocefisso con Gesù e del quale chiese l'intercessione, è simbolo della speranza del malfattore: la misericordia divina è talmente grande da accogliere anche il pentimento più tardivo, quello in punto di morte, se mosso da una sincera fede.

Se vogliamo far posto a Gesù e aspirare all'Eterno, dobbiamo staccarci dalle cose del mondo e alla loro temporaneità. Non ci sazieremo mai di cibo, acqua, sesso, soldi e umane esigenze: più ne avremo e più ne vorremo; e anche se ne avremo d'avanzo, non ce ne rimarrà nulla. Pensiamo alla bellezza e al profumo di un fiore: se ci allontaniamo solo un'ora, ci rimane solo un ricordo incompleto e col passare del tempo svanirà anch'esso. Tutto quello che fa parte del mondo umano e sensoriale, se non esercitato, svanisce col tempo; se invece viene esercitato, è annacquato dall'assuefazione; se teoricamente esistesse un equilibrio tale da farcelo godere per decenni, ci annoierebbe, o perirebbe, o comunque dovremmo morire noi prima o poi. Ciò che è dall'altra parte invece è eterno, come eterna è la contemplazione di Lui che ci viene promessa: attenzione, non una "vita eterna" cioè una vita dopo la morte, ma la vita stessa, che può essere vissuta anche nel tempo e non è inficiata dalla morte. L'uomo sa nel suo intimo di essere fisicamente deperibile, limitato nel tempo, e per questo è impaurito dal futuro. Per questo motivo da secoli le religioni hanno una componente di divinazione: cercano di vedere dietro la cortina che copre il futuro. Dio già nel Deuteronomio chiede all'uomo semplicemente di avere fede, di non cercare di strappare il futuro dalle mani di Dio, e infine promette la venuta di un nuovo Mosè. Il motivo lo ritroviamo nei libri di Don Gabriele Amorth: quando ricorriamo ai maghi, se assistiamo a fenomeni paranormali e non c'è truffa, siate pur sicuri che sono causati da uno spirito maligno. E l'inganno del maligno è ben descritto da Papa Benedetto, per cui vale la pena riportarlo (pag.153): «Della natura della tentazione fa parte la sua apparenza morale: non ci invita direttamente a compiere il male, sarebbe troppo rozzo. Fa finta di indicarci il meglio: abbandonare finalmente le illusioni e impiegare efficacemente le nostre forze per migliorare il mondo. Si presenta, inoltre, sotto la pretesa del vero realismo. Il reale è ciò che si constata: potere e pane. A confronto le cose di Dio appaiono irreali, un mondo secondario di cui non c'è veramente bisogno.» Sia la storia che l'attualità hanno dimostrato e dimostrano che dove non c'è fede comunque non cresce il pane: il marxismo ieri e il tecnicismo oggi volevano trasformare le pietre in pane, e invece è successo il contrario. E Benedetto ci ricorda anche quanto l'esegesi errata sia madre dei fondamentalismi e opera del demonio, come ho già ricordato in questo altro post: il diavolo tenta Gesù citando i passi dell'Antico Testamento e proponendo una interpretazione logica. Il Diavolo si presenta vestito bene e con argomenti convincenti:
  • Dio non deve interferire nella storia, ma deve stare al suo posto lasciando all'uomo il potere di decidere.
  • Dio è una questione privata, che non deve intromettersi nel nostro benessere e in una pianificazione razionale della nostra vita.
Questa visione è l'esatto contrario della venuta di Gesù, il Dio vivente che opera nella storia da 2000 anni grazie alla Chiesa (non il clero, ma la comunità delle persone battezzate). Invece i regni che il diavolo promise a Gesù nel deserto nel frattempo sono tutti crollati... Il maligno ci devia verso una concezione di Dio come merce da provare: se ci comporteremo bene, ma avremo sofferenze, allora Dio non esiste... però ci dimentichiamo della vita sofferta di Gesù, degli apostoli, dei martiri, di San Francesco, di San Pio da Pietralcina. Seguire Gesù è sofferenza, è la strada stretta verso il Paradiso, è la foglia alta difficile da raggiungere che permette alla giraffa più intraprendente di sopravvivere. Il Regno di Dio non è la cuccagna, non è una ricetta che automaticamente porta ad uno stato di perfezione, la qual cosa ci ricorda Papa Ratzinger che è teorizzata con l'abolizione della proprietà privata: automaticamente avrebbe dovuto portare ad uno stato di benessere sociale. Gesù non smette mai di ricordare che la strada è stretta, cioè è piena di prove dolorose e di rinunce, ma è anche motore di trasformazione e maturazione. Effettivamente non sappiamo perchè Dio non si renda più manifesto e invece domina silenziosamente la storia, lasciando a noi l'onere di capire e maturare autonomamente.

Gesù (Mc 13,19) profetizza ampio spazio (secondo la nostra visione) all'orrore e alla distruzione del Tempio nel 70 d.C., ma la storia non gli sfugge dalle mani: i giorni dell'orrore creato dall'uomo saranno abbreviati e gli eletti salvati. Non sappiamo nemmeno per quale motivo Gesù non abbia lasciato dietro di sè uno splendore più grande e ci rimane il dubbio di Giuda Taddeo (Gv 14,21-26) «In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. Gli disse Giuda, non l’Iscariota: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”». Perchè Dio non ha tolto Gesù dalla croce e non si è manifestato in potenza a tutto il mondo? Perchè non è il Suo stile: si è manifestato a 12 apostoli nel regno di Israele, ignorato dai contemporanei, è vissuto sommessamente, dopo la Resurrezione si è manifestato, ma contemporaneamente si è sottratto persino ai Suoi apostoli. Però ha lasciato un segno umanamente tangibile della propria presenza nel mondo terreno, ha seminato amore e ha lasciato piena libertà di seguirlo o di ignorarlo. Lo Spirito Santo ha conservato la Sua parola integra nel corso della storia e la libertà di osservarla.

Adesso non esiste più un tempio dove risiede Dio, ma Egli si è fatto carne e risiede nella Sua propria Carne, ovvero nell'Eucaristia, e per tale motivo ha lasciato che il Tempio di Salomone venisse distrutto definitivamente nel 70 d.C. Ciò che è sopravvissuto alla distruzione del Tempio è il culto della Torah attraverso l'interpretazione rabbinica, ma come ho già detto, col Discorso della Montagna, Gesù sostituisce se stesso alla Torah. Il compimento della Parola di Dio avviene in relazione all'Antico Testamento e a tutte le profezie di Isaia, Daniele, dei Salmi, che parlavano della venuta di Gesù, qualcosa di nuovo che questi non sono ancora riusciti a cogliere. Le successive ricostruzioni sono andate tutte fallite, segno che Dio vuol spostare il culto dal Tempio al Verbo: ecco cosa sta dicendo Dio agli Ebrei, ecco dove li porta la Divina Provvidenza, ad una nuova tappa per l'umanità. Dio ha dato tante tappe nella storia, passando dai sacrifici, al Tempio, a Gesù, ma è necessario riconoscere il cambiamento ed adeguarsi ad esso come momento di trasformazione e crescita.

Concludo con una riflessione. Quando tentiamo di convincere noi stessi e di convincere gli altri, quando non riusciamo, comunque abbiamo buttato un seme: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Gesù ha bisogno del proprio fallimento (la morte in croce) per arrivare dai pochi del popolo di Israele a tutti: «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Il fallimento (lat. fallère, cioè sbagliare, essere ingannato) fa parte del processo di trasformazione e di maturazione. Pietro è contrario alla Croce, per questo non può cogliere la Resurrezione, è convinto delle proprie forze: «Allora Pietro gli [a Gesù] disse: «Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò». […] Ma egli [Pietro], con grande insistenza diceva: "Se anche dovessi morire con te non ti rinnegherò"». (Mc 14,28 – 31) E invece, prima che il gallo cantasse 2 volte, egli lo rinnegò 3 volte, come accade a tutti coloro che contano solo sulle proprie capacità senza passare dalla Croce. Lo stesso Pietro affermerà nella Lettera ai Romani che tutti hanno peccato e pertanto hanno bisogno della Misericordia del Signore (Rm 3,23).